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Tra museologia e filologia: il Civico Archivio Fotografico di Milano. (Silvia Paoli)


 


Ho iniziato a fare questo lavoro con tutti gli strumenti che mi arrivavano dalla Storia dell'Arte e mi sono subito domandata quale doveva essere l'identità di una raccolta fotografica pubblica in un sistema museale. Questioni accennate in altre occasioni e che sono quelle della identità e dell'etica e della deontologia professionale ed anche della politica culturale, perchè una istituzione come è un Museo Civico si misura costantemente con una Amministrazione Pubblica.
Sono dunque questioni di identità ed etica che vanno decflinate sul piano del confronto, non possono essere questioni esclusivamente teoriche, si devono misurare nella prassi museale quotidiana che non ha strumenti per quanto riguarda la fotografia.


Per adesso mi sono interrogata sulla identità di raccolte fotografiche che erano nate e, specificamente per quanto riguarda Milano con un patrimonio di 600mila fotografie originali, destinate alla storia dell'arte, dunque in funzione ancillare. Poi mi sono posta il problema di una riconfigurazione di questa identità e di questa raccolta, con questo si vuol dire che è necessaria una profondità storica, è necessario studiare le proprie raccolte con un metodo che per me è derivato dalla Storia dell'Arte.
Ma la formazione dello Storico dell'Arte non sempre è sufficiente ad affrontare la fotografia. Questo lavoro di indagine richiede altri confronti perchè la fotografia ha rotto molti schematismi costruiti dagli Storici dell'Arte.


Se si può parlare della fotografia dell' Ottocento e parlare di generi fotografici derivati dalla pittura, questo non riesco piu a farlo per per altri tipi di fotografie.
Quindi è evidente la necessità di una formazione come Storici dell'Arte appropriata alla contemporaneita, ad una cultura visuale ampia che non ha solo rapporti con la Storia dell'Arte, ma deve prendere i propri apporti dalle altre discipline.


Il metodo della filologia applicato al lavoro di archivio può avere degli effetti eversivi quando è un lavoro serio e filologico realizzato con onestà intellettuale, per il naturale confronto con le fonti.
Queste lavoro mi ha portato a riconfigurare una identità nei confronti di una città e di un pubblico, di una amministrazione e degli sponsor e poi a riconfigurare la percezione della fotografia da parte della città. Non è un lavoro che finisce e l'archivio non si attesta su dimensioni statiche di conservazione, ma deve avere questa progettualita e questa dimensione forte di apertura alla cultura visuale contemporanea.


Vorrei poi dire che è importante non demonizzare il privato, piuttosto si dovrà costruire un rapporto di collaborazione come incontro vitale tra realtà diverse che concorrono agli stessi fini, non ultimo il rapporto con il collezionismo. La dove c'è una Istitizione Pubblica che lavora per la valorizzazione e per la comunicazione, i collezioni tornano ad interessarsi - e a donare.
Ritengo quindi estremamente importante e tutte collegate queste questioni di identità etica, deontologia e politica culturale.

 
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