Beckett
 
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100anni
 
   

“1906Beckettcentoanni2006”. Assoluto è il presente -
Un convegno al Teatro Studio di Scandicci

 

 

Una giornata di studi ha permesso di addentrarsi nell'opera del grande scrittore irlandese.


Siro Ferrone
C'è un paradosso in Beckett quando lavora per screditare il linguaggio, il linguaggio si vendica attraverso una vasta ricerca intorno alle sue fonti, ai nessi del suo lavoro, anche con fonti non solo teatrali, ma fonti che toccano il pensiero e la cultura in senso più ampio, di Beckett.
Di fronte a questo paradosso possiamo continuare o viceversa procedere per sottrazioni per arrivare all' essenza del lavoro di Beckett.
Così si arriva al senso della grandezza di questo autore, e del senso di scrivere e del fare teatro.

Giancarlo Cauteruccio
Mettere in scena Beckett non è cosa facile.
Beckett a differenza di altri progetta inesorabilmente tutto! Apparentemente non darebbe alcuna possibilità di invenzione oltre la scrittura.
Se guardiamo per esempio -Finale di partita - Giorni felici - Atto senza parole... ci accorgiamo che è così scientifica la partitura Beckettiana che basterebbe eseguirla.
Però come sappiamo è fondamentale nell'attore e nel progettista della scena cercare dei motivi che vadano oltre la scrittura.
Io potrei essere considerato uno di questi esempi, perchè per me Beckett ha determinato una svolta, non perchè io non avessi di che nutrirmi dentro la drammaturgia contemporanea, ma perchè essendo stato uno sperimentatore di tecnologie all'interno del sistema del teatro di ricerca italiano, mi sono ritrovato completamente in un punto di vuoto, un punto zero,
in un punto di silenzio.
Lì ho trovato, in Beckett il motivo delle mie sperimentazioni precedenti, lì ho capito che attraverso quelle avrei potuto accedere al teatro.
Fino alla prima messa in scena di Beckett, il primo studio che si chiamava - Forse - fino a quel punto probabilmente non sentivo la necessità del teatro, perchè mi muovevo in una dimensione interdisciplinare.
Con Beckett ho capito il teatro, ho capito la centralità del corpo del teatro. Da lì in poi ho sentito che Beckett per me e credo per chiunque metta in scena Beckett deve essere così... così come è nella scrittura e nella vita di Beckett che noi troviamo una profonda comunanza, credo, debba succedere anche all'artista che lo mette in scena... questa coincidenza tra vita e opera.

E non è vero che Beckett può essere affrontato soltanto come partitura, perchè ha bisogno di una totale appartenenza - e questa sera quando sarò Krapp, non faccio nessuno sforzo perché Krapp mi coincide, ed io mi identifico pienamente nella condizione di questo personaggio.

Io dico sempre - in Italia gli attori non conoscono Beckett perchè come sappiamo in nessuna accademia e nessuna scuola di teatro si frequenta questo autore che invece è
(io credo) un grande maestro di teatro, un grande maestro di rapporto tra il corpo e lo spazio, di rapporto tra la parola e l'organo che emette la parola.
In -Non io - esiste questa necessità.
- Non io - emerge quando la fatica estrema dell'interprete raggiunge un certo livello.
Io ho fatto questo esperimento, di affidarlo ad una cantante lirica munita di una forte presenza vocale - ma nonostante tutto fino a quando non è arrivata la fatica vera, la sofferenza, il dolore della parola, - Non io - non prendeva corpo.
Beckett non può essere eseguito semplicemente. E quando è stato utilizzato come prova di attore, per un grande attore, probabilmente non c'è stata una totale coerenza. Io credo che bisogna aderire totalmente alla condizione che Beckett richiede.
Ed è una condizione di dolore profondo, una condizione di azzeramento, una condizione di rinuncia e di consapevolezza del fallimento, perchè solo se si fallisce probabilmente si raggiunge un risultato nella messa in scena... io lo chiamo fallimento interiore dell'interprrete - se l'interprete riesce ad impossessarsi di questa forza, del fallimento, probabilmente riesce a portare completamente in scena il personaggio che Beckett richiede.

Cesare Molinari
L'intervento di Cauteruccio mi ha stimolato molto e mi ha trovato fin troppo d'accordo.
Beckett è l'autore moderno che i registi non osano violare. Io mi ricordo un solo spettacolo in cui la struttura scenica di Beckett fosse stata esplicitamente dimenticata - ed era Winnie o dello sguardo di Per'Alli con l' interpretazione di Bartolomei, straordinaria voce, uno spettacolo che non pareva fondato sulle indicazioni sceniche beckettiane.
Tutti gli altri che ricordo hanno rispettano complessivamente il testo, come se si trattasse di una partitura per una semplice esecuzione.
Io ho sempre ritenuto nella mia vita, che la drammaturgia sia prima di tutto letteratura, dopodiché diventa teatro quando un uomo di teatro così la utilizza.
Beckett mi pone in crisi, perchè effettivamente le varianti che poi l'uomo di teatro ed il regista introduce, più che creare un'altra opera partendo dalla prima - (e l'ermeneutica lo insegna che tutto è interpretazione )
ma che quelle varianti...poi ci riportano alla complessità delle funzioni.

In Beckett non c'è mai storia, come c'è storia nella drammaturgia classica in cui si sa che viene rappresentato qualcosa che è successo. In Beckett sembra tutto l'assoluto della contemporaneita.
Quello che si vede come quello che si legge è quello che il parlante o gli attori stanno facendo o dicendo in quel momento. E' per questo poi io credo si rovescia la dimensione dolorosa di Beckett in qualche cosa che trasporta.... dal essere gettati nel mondo - termine spaventosamente esistenzialista...
...quindi tra l'essere gettato nel mondo della persona individua ed il destino totalizzante dell'umanità.

Tutto sommato poi gli accademici hanno creato una enorme superfettazione su qualche cosa che ha un mordente ed una pregnanza assolutamente immediata, che non richiedono né un esame dal punto di vista dell'epistemico o meglio ancora dal punto di vista dell'epistemologia, ma che potrebbe essere benissimo compreso nel senso, come diceva Giancarlo - cioè vissuto nell'immediatezza del rapporto tra il lettore e lo spettatore e l'opera - anzi meglio tra il lettore e l'opera e tra l'attore e l'opera.
Con questa sottigliezza se volete - che l'attore non è assolutamente un mediatore, che nel teatro di Beckett l'attore
si spoglia da ogni dimensione di mediazione e quindi di interpretazione.

Per questo mi incuriosisce sempre il rapporto che gli attori creano con il testo

  continua
 
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