Beckett
 
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Beckett a vista. La messa in scena della vita in presa diretta
Una conversazione con Giancarlo Cauteruccio

 

 

" Io provengo da un lavoro nel quale ho sempre pensato di mettere in relazione lo spazio con il corpo" ci dice Giancarlo Cauteruccio a proposito del Trittico Beckettiano che ha inaugurato al Teatro Studio di Scandicci il centenario della nascita di Beckett. Una intensa rassegna di Teatro, di Video/Film, Eventi affidati agli interpreti più significativi del nuovo teatro.

D. -Spazio sensibile - architettura sensoriale - Come immagini adesso lo spazio della scena. Come percepisci e restituisci... in volumi le parole...

-Cauteruccio G. Io immagino il luogo teatrale come spazio di laboratorio all'interno del quale sottoporre l'esperienza profonda, fisicamente e percettivamente profonda del suo abitante, che nel momento in cui percepisce ne è parte e protagonista.
E' per questo io colgo in Beckett tutti quegli aspetti sulla questione del corpo, da sempre il corpo estremo, in questa estremizzazione che su di esso Beckett compie sino ad annullarlo.
Beckett inizia col privarlo del senso, ne toglie, solo apparentemente, il senso alla parola, al corpo, senso alla scrittura; ma in realtà compie una azione profonda nella natura dell'essere.
Per me arrivare all' esperienze di Beckett ha significato definire nel tempo una sintesi che mette in gioco il corpo in relazione allo spazio, e in qualche modo alla macchina scenica.

In -Atto senza parole- si sente questo rapporto, come in Krapp si vive il corpo in relazione ad una memoria magnetica, trasferita fuori e catalogata, sempre pronta ad essere richiamata nel cosciente.
In questo trittico è come guardare attraverso una visione prospettica, dove appunto questi due elementi forti che sono -Atto senza parole - e -Krapp- convergono in una sorta di punto di fuga dove il corpo si ritrae progressivamente e scompare, e rimane in -Non io- solo la bocca, un unico organo che emette la parola, che crea una sorta di trance nella scrittura, dove la scrittura diventa luogo della allucinazione.
Così questo punto di luce ritmico che diventa la bocca, sembra quasi un punto nel cosmo che brilla come una stella e crea questo effetto ottico di oscillazione.


-Gli oggetti scenici distolti delle norme della funzione, assumono una figurazione 'specifica' nel tuo teatro.

-G.C. -Gli oggetti sono fondamentali non solo per me, quanto per Beckett. Cerco sempre di capire la passione quasi morbosa che Beckett ha per gli oggetti.
Ma nel momento in cui devo decidere come trasferire scenicamente l'intuizione dell'autore... mi attengo alla notazione del testo: se lui indica -un cubo- (Atto senza parole) il cubo è un cubo.
E questo cubo che cala dall'alto, questi tre cubi, nel mio caso diventano casse da trasporto aereo, ma potrebbero essere casse piene di esplosivo, se nel presente si pone il problema di un corpo estremo del contemporaneo, che è il kamikaze, di colui che si fa arma.
Allora per esempio la scelta di avere queste casse in -Atto senza parole- diventa proprio una scelta di riferimento ad una emergenza che ogni artista vive nel momento in cui progetta un lavoro che non può non prescindere dalla resa attuale, la condizione storica in cui vive un opera.
Così come il tavolo di Krapp non è una scrivania in legno, ma è un tavolo di ferro, quasi da luogo carcerario, da luogo estremo - di ferro grezzo, dove i cassetti producono un rumore stridente che è il tempo, la lacerazione del tempo. Non esiste un oggetto morbido, ma un oggetto forte, un oggetto pensante, una sorta di monumento, di altare blasfemo.


-Le azioni da realizzare ed i gesti sono correlati di una forma d'arte?
(Action painting in un antecedente storico)

-G.C. -Nel mio lavoro il riferimento alle arti visive è un fatto naturale. Inoltre io mi sento legato a Pollock perchè nel 1956 lui è morto, mentre io sono nato in quella data e poi per la sua vita ed i suoi rapporti familiari, i legami profondi...
Per dire che quando da giovane facevo il pittore la mia prima vera opera è stato un omaggio a Pollock, la mia prima tela con vernici... ed è una delle pochissime opere che conservo.
Mi interessava questa azione sulla tela, questa necessità di agire dove appunto l'azione era prevalente rispetto al risultato ricercato, e il risultato era conseguente ad una azione.

Certo nell'estetica di Beckett non è "l'azione"che viene determinata dall'agire pittorico, ma è qualcosa di profondo e in ogni caso non si dovrebbe parlare di action painting o che altro nel caso di Beckett, dove ogni azione ogni movimento e ogni gesto è assolutamente scritto ed imposto, calcolato.
Beckett in questo senso non da libertà di azione, ogni azione è assolutamente una esecuzione perchè Beckett, proprio per la sua grande maestria va eseguito e non va interpretato, sarebbe inutile e sarebbe un errore in tal senso.


-Un’energia tutta particolare, (inconscio, pulsione) in perenne lotta contro il potere e la coscienza del mondo deve pur muovere l'attore nel ruolo di auto identificazione nel personaggio!

-G.C. -Io credo semplicemente che ogni corpo che ha il privilegio ed il dolore nello stesso tempo di entrare nella scena debba saper portare se stesso pienamente senza mediazione. Io non credo ai psicologismi o alle tecniche teatrali. Io credo che il teatro vada sempre di più verso l'esperienza diretta perchè noi viviamo una condizione quotidiana nel mondo, nella città, nei fiumi, nei boschi, una condizione dettata dalla nostra natura, dalla nostra sensibilità.
Il miglior performer per me ( trovo la parola attore riduttiva ) è colui che sa mettere in gioco pienamente se stesso. Anche nel percorso Beckettiano io chiedo agli attori di sentire profondamente quello per cui vengono chiamati ad agire, a non affidarsi a mediazioni sovrastrutturali.


-E quindi la teoria modernista di distanziarsi dal personaggio "per mostrare un uomo che mostra un attore che mostra un personaggio"...

-G.C. -Questi sono giochi scientifici immaginari. Io non credo più nelle sovrastrutture, negli approfondimenti teorici, piuttosto nella verità delle cose.


-La posta in gioco ideale, tradizionalmente anche della auto biografia è la messa in scena della vita in presa diretta.

-G.C. -Io credo che il teatro sia nella messa in scena, e sia una esperienza reale.
Nella mia vita ho lavorato molto sull'effetto scenico.
Ma quando producevo gli effetti scenici pensavo semplicemente che la luce era la verità della luce, che il suono era la verità del suono, che il corpo era la verità del corpo. Per cui tutto quello che poteva sembrare, come dire, fantascientifico, calcolato e costruito, altro non era che l'espressione pura degli elementi.
Per anni ho teorizzato, negli anni del post modernismo, l'urgenza di esporre le tecnologie e di esporre i corpi così come ha fatto la moda e la pubblicità, perchè allora si trattava di giocarsi la superficie delle cose. Quando poi si entra in una fase di approfondimento, allora questo pensiero emerge e capisci meglio che quando accendi una luce, accendi una luce.
E se la accendi su di un attore illumini un attore, e se emetti un suono o una parola emetti un suono o una parola. Non voglio più mediare!
Anche perchè quello che allora sembrava rappresentazione capisco oggi che era azione pura che io contrabbandavo per rappresentazione, ma non lo era affatto.


-L'illuminazione per luce..." la visione, finalmente..
che l'oscurità... (da) tener lontana è in realtà...

-G.C. -Come sappiamo Beckett è maestro di citazioni, è predatore di esperienze, di sensazioni, di immagini e di luoghi, di persone e di sguardi. Ed allora lui che con Krapp lavora in una condizione di buio, e per me Krapp potrebbe essere uno spettacolo di elogio del buio, al buio come luogo di grandissima qualità sensoriale, il buio che aiuta l'approfondimento dell'immaginario...
Mi sembra che nelle parole di Krapp si sente la necessità di elogiare il buio.
Il buio rafforza l'esistenza - "su questo buio che mi circonda mi sento meno solo" e poi aggiunge in una pausa "in un certo senso".
Questa qualità del buio mi sembra fondamentale - così come la luce è un fatto, anche il buio è un fatto. Ed il buio è più forte della luce, che se non ci fosse il buio...la luce non servirebbe a nulla.


-"Prendersi per qualcuno" Questo è il paradosso beckettiano, che non lasciandoci illusioni auto espressive evidenzia come non si possa dire senza dire di sé -

-G.C. -Beckett scrittore e poeta lavora essenzialmente sul soggetto monologante.
Ed in tutti i suoi personaggi, nei suoi scritti, nel suoi romanzi, l' Innominabile per esempio, come dire è sempre il soggetto narrante.
Tenta attraverso il teatro e la drammaturgia di affrontare la questione del soggetto ed uscire da questo io narrante, con Aspettando Godot, Giorni Felici, Finale di partita.
Progressivamente poi ricomincia a richiudere, fino ad arrivare di nuovo al corpo riverso nel buio di Company, in - Non io- addirittura ad annullare il corpo, l'attore, ad annullare la memoria, ad annullare e a giocare conflittualmente con il tempo, il concetto di tempo, e con lo spazio.
Ad un certo punto perde, smarrisce e distrugge quasi il corpo come nella sua fisicità, e lo riduce a pura voce e a pura scrittura, parola...


-Eppure la questione posta da Krapp allo spettatore è quella di dare un senso identificatorio ad una storia ideale quando poi si tenta di rompere la serialita e la ripetizione dalle azioni.

-G.C. -In realtà Krapp è la storia di un fallimento, di un amore fallito - allora cosa fa - quando toglie la bobina numero cinque e la appoggia sul vocabolario... fa un ulteriore tentativo di tracciare la storia, e quindi tenta di registrare 30 anni dopo una nuova bobina per testimoniare il suo compleanno. Ad un certo punto però prende la bobina e la getta, rinuncia al presente ed altro non gli rimane che ricorrere nuovamente alla memoria, e questa volta in via del tutto definitiva.
Lui rimette il nastro, andando a cercare il punto di quell' amore fallito, e la bobina legge l'ultimo pezzo del nastro e poi continua a girare, nel silenzio.
C'è un passaggio, questo ricorso sentimentale al ricordo, alla necessità di un ultima azione vitale, mentre lui rimane fermo, fisso nel vuoto e non ascolta più il nastro, perchè incomincia a parlare tra sé e sé, e si vede il movimento delle labbra - Il nastro scorre, la storia continua e si ripete, ma lui non ascolta più, e rimane fisso nel vuoto, sia che il nastro parli sia che il nastro sia nel silenzio -
Entra in definitiva nel silenzio.

Giancarlo Cauteruccio regista-scenografo-artista visivo della compagnia Krypton. Direttore Teatro Sudio Scandicci.Tra le produzioni recenti - Ubu c’è, 2004- e la regia - Bang Bang/in Care - Filottete e l’infinito rotondo, 2004.

 
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