Beckett
 
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Beckett a teatro. La sua presenza in Italia -
Alcune esperienze dagli anni 80 e 90. (S. Geraci)

 

 

 

E' interessante capire come il teatro di Beckett possa esser visto come un teatro equivalente e non solo come un teatro distante e vicino. Come in qualche modo la storia e il rapporto con il teatro di Beckett possano essere equivalenti ad altri teatri e ad altre esperienze fondamentali del 900.
E questo perchè buona parte dei teatri degli anni 70, dei cosidetti -Gruppi - hanno fatto sopratutto riferimento nel loro nascere alla Avanguardia del teatro, piuttosto che al Teatro delle avanguardie; distinzione che è essenziale.
Hanno cioè assunto in proprio quella non correlazione tra le Avanguardie del teatro ( anni 20 e 30) e i Teatri delle avanguardie, delle avanguardie storiche, quelli che si sono fornati sulla linea Stanislavskij Grotowski.
Non a caso la prima generazione di teatri Italiani che si occupavano di Beckett e penso a Carlo Quartucci, era certo piu vicina al Teatro delle avanguardia, piuttosto che all' Avanguardia del teatro, e quindi vedeva Beckett come una forma di antagonismo ai teatri esistenti.

Diverso il caso dei teatri della generazione successiva e tra questi metterei per la loro storia un poco particolare per quanto riguarda Beckett il caso dei Magazzini.
Quando i Magazzini allora Criminali sono nati, il primo atto di nascita doveva essere un -Aspettando Godot- un progetto che poi fu abbandonato.
E se Beckett non si manifesta negli spettacoli però rimane come presenza latente.

A riportare Beckett in primo piano nella storia del gruppo, ma direi anche di quegli anni è stato Franco Quadri. Un uomo di teatro e non solo critico, che più ha alimentato la presenza di Beckett soprattutto con le traduzioni.
Ha tradotto per esempio - Come è - per ribadire che non ci dovesse essere una destinazione, per la scrittura di Beckett, tra destinazione letteraria e destinazione teatrale. Anzi riteneva che la cosiddetta Trilogia avesse un valore per il teatro maggiore che non il cosiddetto Teatro maggiore (Godot, Finale)
La traduzione di - Come è - era dunque collocata strategicamente.
Passano molti anni e Franco Quadri decide, anche polemicamente, di costruire lui una drammaturgia su - Come è - addirittura ne fa una registrazione con attori.
Naturalmente una registrazione in video, anche se la scelta del video è quasi a dimostrare una scelta laterale, rispetto alla rappresentazione in scena.
Mostra questo materiale a Bob Wilson che si interessa, vuole metterlo in scena
(altri impegni renderanno impossibile realizzare il progetto).
Ma Quadri insite, come polemica culturale, di tendenza all'interno del mondo beckettiano dell'epoca, finchè non incontra i Magazzini e con loro comincia ad allestire una rappresentazione di - Come è -
Naturalmente era una scelta strategica perchè - Come è - è già concomitante a Krapp, quindi a dimostrare la non scindibilità delle destinazioni del lavoro di Beckett.

Siamo dunque alla metà degli anni 80 quando i Magazzini (Lombardi, Tiezzi, D'Amburgo) decidono di realizzare questo spettacolo. E cito le parole di Franco Quadri di allora "questo spettacolo è inteso come ideale autobiografia, essendo l' opera un tutto monolitico dove lo scrittore si ritrae come personaggio nello sbandamento, per approdare ad una realizzazione sulla condizione umana fino a sistemarla in un universo matematicamente regolato, il mondo circolare come purgatorio incessante".

Anche per Tiezzi - Come è - non è solo una occasione per rappresentare Beckett, anzi vi vide qualcosa di piu radicale.
Le sue parole: " c'è la possibilità di ripensare gli strumenti del linguaggio scenico in questi anni di ebbrezza visiva, di spettacolare strenuamento ottico, dovevo mettere in scena l'autore e non il romanzo".

Questo è il tema, il rapporto tra Beckett ed il teatro e non tra le singole opere o singola messa in scena.
Insomma quello spettacolo affiorava nella vita artistica di quel gruppo, interrogando la storia ed il cammino fin lì compiuto.

Nello stesso arco, siamo nel 1981, c'è un altro collaterale spettacolo, quello di Leo de Bernadinis che decide di realizzare un -Atto senza parole- Siamo nel 1981 ed è un anno critico nella storia di Bernardinis.
Ha concluso l'esperienza con il teatro di Marigliano, l'esperienza in cui ha cercato il teatro là dove il teatro non c'era.
Si rompe il sodalizio con Peragallo... e in questo momento di difficoltà personale ed artistica interviene ancora una volta Beckett, considerando che Leo insieme a Quartucci nel 1964 avevano interpretato Aspettando Godot.
Che cosa fa Leo con questo spettacolo, anche questo realizzato in video... una specie di storia quasi parallela, una sorta di autobiografia in senso direi quasi circolare.
Leo recitava la didascalia di -Atto senza parole- oltre che agirla, con molte interpolazioni molto interessanti, che erano dedotte e provocate dal suo essere in scena, che idealmente non avrebbe dovuto mai finire.

E quindi riflettendo anche sulla sua solitudine di artista, trasformata poi in una struttura drammaturgica.
Ancora una volta la presenza di Beckett non è mostrata soltanto attraverso una presentazione dello spettacolo, ma incide nella riflessione della vita artistica di un attore-autore.

Un altro segno assai vicino a noi è quello di Carlo Cecchi in -Finale di partita-
Anche in questo caso possiamo dire che Cecchi metteva alla prova la sua storia artistica di attore napoletano, come lui dice, "che recita in Italiano".
Da attore che si era formato e che aveva avuto il contagio del Living Theatre ed aveva cercato a Napoli, in Eduardo non tanto una tradizione, ma il confronto con l'epilogo di una tradizione, là dove aveva comunque sperimentato "la recita come salvezza dall'informe attraverso la forma" (Non si riferisce qui a Beckett ma alla sue esperienza del periodo).

Ma io credo che del suo - Finale di partita - facesse anche di merce il suo involontario lavoro di scena. A volte c' erano delle citazioni come una memoria inscritta nel corpo che riaffiorava.
Ed è evidente che ciò che riaffiorava era la sua memoria di artista. Ma credo che anche il suo animo fosse un modo in cui lui viveva e vive tuttora, come dire, la sua posizione di scena, una specie di parafrasi da "attore capo" - come l' ha definito Cesare Garboli, sempre sull'orlo del precipizio, come se lo spettacolo si stesse sfaldando.
Quel modo di occupare il centro del dramma però attraverso una sorta di letterale eccentricità di scena!

Anche questa volta, attraverso questo esempio, vediamo come Beckett passa attraverso - come una specie di sostanza radioattiva, nella vita di questi artisti.

Questi disegni ci possono spingere ( penso a tutto il lavoro documentario che è stato fatto su Beckett, il lavoro sulle stesure e le regie) a tornare a riflettere sulle molteplici relazioni che Beckett ha costruito con il teatro. Certo interrogandosi su quel fascio di relazioni che va oltre l'immagine di un autore, che un poco alla volta conquistato dal teatro diventa regista delle sue opere.

Stefano Geraci
. Insegna Storia del teatro e dello spettacolo al Dams di RomaTre e collabora come drammaturgo con alcuni centri di ricerca e sperimentazione - Ciò che resta, 2006. la più recente produzione per Pontedera Teatro.

 
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