Loris
Cecchini - I primi oggetti
sono stati il tavolo e la porta del mio studio, che ho stampato: ho fatto
il calco in scala uno uno.
La bici per esempio - è una ossessione instabile, nel senso che
tutti i pezzi sono composti come una bici normale - smontata, fatto tutti
gli stampi - la produzione dei pezzi : positivi -
pulitura dei pezzi, e riassemblaggio dei pezzi -
Faccio notare che è un grandissimo lavoro fisico, e che tutti gli
oggetti sono prodotti normalmente in quattro copie, cosi come nella fotografia
che ha una tiratura anche per motivi di circolazione, di circolazione del
lavoro, per motivi di costo.
Artext - Le installazioni
piú grandi - piu recenti, stanno diventando delle vere e proprie architetture.
Loris Cecchini - E' sempre stata una gran passione in parallelo alla
fotografia, alla scultura, all'arte in generale. Trovo che l'architettura
contemporanea per me sia uno stimolo fortissimo a rielaborare delle forme,
(l' architettura svincolata da una serie di forme e di obblighi rispetto
al razionalismo)
proprio perchè la virtualizzazione e la capacità del software
di calcolare, ci permettono oggi in qualche modo di avvicinarsi allo
sviluppo biologico della materia stessa - di pensarlo in termini non
solo di micro, di scultura - ma in termini di architettura vera e propria.
In questo senso gli architetti più innovativi da Garry a Mc Graw
Hill -
e molti altri stanno sviluppando delle forme che sono delle vere e proprie
sculture sulla terra - Che mettono in crisi la nostra percezione dello
spazio come lo intendiamo da secoli, proprio perchè queste cosa
del biomorfismo e della curva, della rimozione dello spigolo ci porta
in un contesto percettivo diverso.
Artext - Dici che sei arrivato a questo tipo di affezione passando dalla
fluidità della materia, fino ad avere un oggetto replicato e in
qualche modo - il fantasma dell'originale, assolutamente lavorato sull'idea
di destrutturazione dell'originale.
Loris Cecchini - Destrutturazione vuol dire molte cose
- oltre che smontarlo fisicamente vuol dire smontare il proprio concetto
di modello - come modello in senso conoscitivo naturalmente - quindi
cosa è un tavolo,
la sua funzione, etc
Ciò che mi interessava era questa idea di lavorare su di una idea
di familiarità, con un modello - portato su di un piano di revisione
- cioé di sguardi, di rielaborazione dello sguardo - Far vedere
delle finestre che non tengono, riconduce da una parte a termini paradossali
e comici.
Per me era ed è una sorta di metafora per dire che in qualche
modo siamo sconnessi con la realtà, che abbiamo delle difficoltà di
lettura dell'originale. In questo senso ricordo che nove o dieci anni
fa alcune letture mi hanno influenzato molto :
Baudrillard, i filosofi francesi in generale, Blanchot, tutti abbastanza
catastrofisti e pessimisti rispetto ad un atteggiamento di lettura e
di percezione della realtà che ci circonda. Il fatto di essere
calati in una realtà che come spesso anche il cinema ci fa presente
e ci fa percepire - è un misto di natura ed artificio. In questo
senso credo che noi siamo profondamente intrisi di questa doppia percezione
- e quindi tutto il lavoro in questo senso cerco di collocarlo in quel
mezzo - un diaframma
In certi casi ci sono delle sculture installate su di una sorta di reticolo
prospettico che altro non è che il piano orizzontale di progettazione
dei softwares 3d che io stesso utilizzo come paesaggio azzerato per riportarci,
come dire, tra una dimensione fisica e quella virtuale.
In questo senso gli oggetti galleggiano li dentro - e l'idea di grigio è legata
ad una idea di prototipazione, di neutralizzazione, di assenza di texture.
La texture è qualcosa che nella progettazione tridimensionale
ci permette di coprire l'oggetto - L'oggetto spesso quando lo progettiamo,
che sia un telefono o una finestra o un cellulare è grigio di
default, ha un colore neutro, e poi è quello che ci fa vedere
il volume quando disegniamo un prototipo. In questo senso il grigio parla
più di assenza che di presenza.
Artext - Hai passato alcuni anni lavorando su questo eccesso visuale
dato dalla copia.
Loris Cecchini - Tutto il mio lavoro negli oggetti è falso, è fatto
per stampi - è fatto a mano.
E' un lavoro pazzesco, in studio - Sei anni fa eravamo in cinque - lavorando
tutti i giorni.
Naturalmente il materiale richiede una sorta di specializzazione perché non è lavorato
negli standard. La cosa molto importante che ci tengo a dire - è che
non ho mai fatto stampi di corpi biologici - corpi umani, piante.
Nel senso che ho cercato di lavorare su questa idea di decostruzione
e di paradosso, cercando poi di elaborare degli oggetti prodotti dagli
uomini per gli uomini. E in questo senso smorzare una sorta di fiducia
nella tecnica - e quindi grande passione per tutto questo genere di elementi
- che sia una scala, un termosifone, una sedia, dei cavi
Artext - Ed in questo senso non sono sculture.
Loris Cecchini - Io fo fatto un lavoro di copie, in realtà -
e mi piace chiamarle non-sculture, perché sono realizzate con
i processi tradizionali di realizzazione di scultura, però per
me sono - non-sculture come le fotografie, non-fotografie rispetto alla
qualità originaria dello scatto singolo.
Artext - Una esperienza importante è il "Sonar" lavoro
contemporaneo alla Biennale di Venezia -
Loris Cecchini - Sonar è stato
realizzato in seguito ad un piccolo concorso, è stato un progetto
speciale in concomitanza ad una mostra molto grande che si chiamava Arteall'Arte
la cui ultima edizione, la decima, la Galleria Continua presentava sei
artisti internazionali chiamati da due curatori.
In contemporanea c'è stato un concorso con i proprietari di questo
locale il "Sonar" e i curatori della mostra.
Abbiamo partecipato in sei - ho vinto il concorso che prevedeva l'elaborazione
interna di questo spazio - un teatro discoteca bar.
Tutto è stato risolto con un reticolo - la mia idea era di realizzare
uno spazio virtualizzato senza l'ausilio di maschere o dataglove etc.
Il lavoro in realtà è un grande piano prospettico che copre
tutta la superficie delle pareti, e funziona molto bene perché all'interno
di questa se ne perde anche un poco la prospettiva.
Una sorta di spazio quasi morbido -
In questo senso è realizzato con pochissimi soldi, sono quasi
cinque kilometri di striscie adesive, carta di cotone che reagisce con
le lampade di wood, attaccate al muro - Calcando delle proiezioni, e
poi poi resinando la carta per poter durare.
Mi è stato chiesto poi di realizzare anche i tavoli e la facciata
-
L'idea era di arrivare ad un grande giocattolone - in qualche modo, di
risollevare in parte questa area industriale.
A volte basterebbero degli interventi anche minimi (e su questo ci stiamo
lavorando)
Questa è stata la prima occasione per lavorare come un architetto
- cosa questa che a me piace molto
- creare ambiti -
Si imparano molte cose. testo completo |