cecchini
    - Loris Cecchini - L' eccesso visuale della copia.
Lavori orientati allo spazio: "Sonar" "Scenari convertibili"
reticoli .. spazi atto. Il fantasma dell'originale.
 

 

Artext - Puoi dirci del tuo lavoro e di come si è svolto nell'arco di questi dieci anni - Dall'inizio?

Loris Cecchini - Ho finito l'Accademia a Milano nell 93/94 - Provengo da studi di pittura e subito dopo l'Accademia ho iniziato a interessarmi di fotografia.
In quegli anni c'era il passaggio tra l'analogico ed il digitale.

Ho avuto la "fortuna" di lavorare in un importante laboratorio a Milano; per due anni e questo mi ha dato la possibilità all'inizio di imparare tutta una serie di tecniche - l'uso dei computers e del software che adesso è abbastanza scontato.
In questo senso ho imparato moltissimo. Le tecniche, le prime tecniche di uscita dalla macchina - le tipologie di stampa, cercando poi di formulare i primi lavori fotografici "come opera in sé"

Artext - Un lavoro poi che in questi anni si è sviluppato in maniera esponenziale - In molte direzioni.

Loris Cecchini - Quello che tendenzialmente ho deciso di fare e cercato di fare negli ultimi anni è assumermi - come dire, anche delle libertà rispetto a delle linee, intendo una firma, qualcosa che caratterizza e ci dà immediata riconoscibilità.
Io ho trovato questa cosa all'inizio con la fotografia -
Da qui il lavoro si è sviluppato molto - dai primi oggetti, ai primi esperimenti con tantissime tecniche - portando passioni ed interesse a convergere nel caso "del lavoro dell'arte" nelle forme..

Artext - I primi esperimenti con le forme in questo senso sono con gomme e resine.

Loris Cecchini - Si, nel 93 /94 - dove formulavo dei piccoli oggetti " un po' ansiosi " utilizzando siliconi ed altri materiali.
Ho smesso di produrre questo tipo di lavoro quando nel 93 ho visto le cose di Barney per la prima volta - e mi sono reso conto che rispetto ad un universo talmente ampio come quello di Barney - questo tipo di materiale ha una precisa narrativa - un preciso utilizzo anche a livello performativo, per poter essere filtrato nel cinema - Ho quindi deciso di smettere questa produzione perchè era troppo avvicinabile ed assimilabile.

Artext - Dunque parlavi di esperimenti con la fotografia.

Loris Cecchini - Una mostra personale a Milano nel 96 dove espongo alcune foto che in realtà sono elaborazioni, degli autoritratti - scatti che riprendevo per semplicità di lavoro e che ricontestualizzavo in digitale mettendomi in questi ambienti domestici.
L'idea era di affrontare lo spazio domestico, rendendolo però attraverso le superfici dei lavandini, dei termosifoni - etc. Per me era come pensare un poco a Richard Serra.
E poi c'era questa idea di imporre uno sguardo legato ad una psicologia, un paradosso di senso visivo cercando un attimo "reale.
In questo senso la cosa si è risolta in tutt'altro modo.

Artext - Queste erano le prime grandi foto, stampe lambda. E c'è una grande qualità, di resa del lavoro e interazione ambientale tra i soggetti.

Loris Cecchini - In seguito ho iniziato a valutare l'esterno, nella serie successiva, con realizzazioni in studio.
Ho cercato di ricostruire l'esterno utilizzando modelli - piccoli giocattoli, materiale qualunque che mettevo in scena. Messa in scena perché mi è sempre piaciuto relazionare queste immagini alla pratica del cinema. Creare delle situazioni verosimili, ma paradossali -al tempo stesso.
Lavorando a questa idea di collasso, di incontro di più momenti fotografici.
In realtà questi non sono altro che collages elettronici - con l'ottimizzazione delle luci e delle ombre - e c'è una ricerca molto accurata per trovare una dimensione verosimile.

Questo tipo di fotografia mi ha permesso di mettere in scena tante tipologie e situazioni, lavorando con una idea di paesaggio anonimo - lavorando con una idea di ritratto casuale - Le persone riprese sono quasi tutte persone fotografate per strada, che non sono partecipi e quindi in atteggiamenti consueti, catapultate in situazioni in cui non si capisce esattamente quale sia il loro rapporto con la realtà.

Gli scatti sono dei macro ma le foto sono nelle dimensioni di un 180x180 cm.
Quindi anche il salto di scala contribuisce a creare una dimensione verosimile, oltre il tono dimesso alle immagini, nessuna eclatanza, nessuna eclatanza delle scene, nessun attore speciale, nessun colore, perchè le foto sono quasi neutralizzate, basse di tono.

Artext - Dopo alcuni anni di lavoro solo nel monitor, solo in digitale sei tornato ad una nuova manualità.

Loris Cecchini - Io sono sempre stato molto curioso di materiali, delle tecniche e di cose molto disparate. E dopo anni di computer ed una sorta di esaurimento da troppo digitale ho ricominciato a lavorare con le mani. In questo senso cercavo un materiale, cercavo una immagine che mi desse lo stesso paradosso visuale che c'era nelle fotografie. Ho incominciato a lavorare con le gomme, le più disparate: siliconi, uretaniche poliuretaniche. Quando ci si avvicina a questo genere di materiali, si sconfina nella chimica, si va nella fisica - perchè dobbiamo capire la durata di un materiale - cosa ci possiamo fare, quali sono gli estremi del materiale stesso - le sollecitazioni - e così via.

Ho iniziato con la mia bici.

 
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