Incontro con Pierluigi Tazzi curatore di
Spread in Prato 2004

Una sorprendente esposizione sparsa per tutta la città.
In questo caso il primo pubblico della manifestazione è stato quello di chi frequenta le aziende, entra negli esercizi commerciali, negozi e ristoranti…le case dei collezionisti d'arte.
 

D. -Hai inaugurato un metodo, un modo nuovo di inserire le opere degli artisti nel contesto della città.

Pierluigi Tazzi -Ho cercato di scoprire la città con l'atteggiamento non del turista, né con quello raffinato del ' flaneur ' alla Benjamin, bensì utilizzando l'opera degli artisti.


D. -E' stata una esperienza esaltante?

P.T. -Personalmente ho cercato di restituire con le mie visite guidate ai luoghi dell'esposizione quello che mi sembrava degno di scoperta. Ma più di me come narratore e come cicerone, erano - ripeto - le opere degli artisti a guidare e a rivelare questa fantastica città, permettendomi di entrare con la loro stessa presenza nel suo corpo, nella sua carne viva, nella sua sostanza carica di potenza ed energia.
E' stata una esperienza veramente notevole e questo vale anche per gli artisti che vi hanno partecipato.

"Ci fai vedere la città come noi che 'siamo di qui ' che la viviamo ogni giorno, che la abitiamo e non abbiamo mai visto in questo modo" mi sono sentito dire.

Io accetto il complimento, come si accettano tutti i complimenti così come tutte le accuse. Ma non sono io il rivelatore… ma le opere degli artisti. Avendo scelto, personalmente artisti ed opere, spesso quelle specifiche opere che avevo scoperto nei miei viaggi nel mondo. Poi di fronte a queste opere mi ero messo in silenzio, in attesa passiva, attesa per sentire la loro voce, quella voce che poi mi avrebbe guidato a disporle nella maniera giusta, conforme allo loro poesia, al loro canto.
A volte gli artisti stessi, con un loro diretto intervento mi hanno guidato.

D. -E' un modo originale di proporre arte e renderla necessaria.

P.T. -Le opere degli artisti sono anche questo come tentammo di dimostrare tre anni fa a Tokio al Mori Art Museum in cima al grattacielo con la mostra che aveva come titolo "Happiness", "Felicità" e come sottotitolo esplicativo e dichiarativo: “Una guida alla sopravvivenza nell'arte e nella vita"


D. -Ciò che conta non è l'esiguo elitario pubblico dell'arte…

P.T. - L'arte è per tutti, questa è stata la nostra offerta e la nostra sfida, non siamo in grado di monitorare i risultati, il feedback della nostra azione.
Presumo di aver reso un servizio, di aver aperto un punto di visione, un margine di riflessione, di aver reso il mondo territorio, il contesto, la vita alla fine migliore; per tutti e per nessuno, per chi non sapremo mai, per chi non incontreremo mai. E la nostra remunerazione ideale sarà la conferma di aver acceso per un incommensurabile momento una luce…senza alcuna pompa, nell'umiltà che richiede il nostro mestiere.


D. - I progetti si possono esaurire… o cambiare destino...

P.T. -Non siamo noi ad aver voluto interrompere il ciclo, a voler mancare l'appuntamento.
Non si sono date le condizioni oggettive per continuare in questo modo.
Proveremo altre possibilità.

 
 
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