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Presentazione di PierLuigi Tazzi
Spread in Prato 2004
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DRYPHOTO

Real Body


Abbiamo incontrato PierLuigi Tazzi (noto curatore d'arte) per porgli alcune domande intorno al carattere perfomartivo e fuggevole che lega la fotografia alle altre arti.
E poi del corpo... sorgente in estensione nello spazio che lo circonda
.
 

D. -E' ancora questa l'essenza della fotografia…
Cattura e rilascio di elementi spaziali e sentimentali che richiamo il ricordo della presenza?

PierLuigi Tazzi -Considero ancora valida la definizione data da Roland Barthes sull'essenza della fotografia in uno dei suoi ultimi libri, il magnifico La chambre claire .
Il suo “ca a été” mi sembra ancora fondamentale.
Tuttavia va rilevato anche l'apparentamento che lo stesso Barthes fa fra fotografia e teatro.
Il risultato fotografico è il prodotto di una costruzione, in cui le componenti di fiction e di reality convergono nella cosa fotografica in un rapporto tutt'altro che pacifico, e proprio per questo ricco di suggestioni, non di rado contraddittorie e divergenti. Oggi che la fotografia si attesta fra i media più efficaci dell'arte del nostro tempo questi rilievi mi sembrano ancora più importanti.

D. -Gli autori che scegli usano il corpo come sorgente del loro lavoro…

P.T. -E' stato solo per la terza edizione di SPREAD IN PRATO che la mia scelta si è orientata su artisti che hanno preso come soggetto il corpo, anche se da sempre ho avuto un occhio di riguardo per quanti hanno praticato questa strada, da Nadar e Lewis Carroll, attraverso Diane Arbus e Larry Clark, fino ad artisti del nostro tempo quali Thomas Ruff, Rineke Dijkstra, Bill Henson, Philip-Lorca diCorcia, Isaac Julien e Adi Nes.
Nel 2004 mi è sembrato opportuno insistere sul corpo, visto il discredito che il corpo era andato subendo negli anni da quando le guerre da un lato e la moda dall'altro, ma anche le pratiche analitiche della sociologia politica più avanzata, avevano ridotto il corpo a numero e a icona continuamente sostituibile e irrispettosa dell'essenza individuale, delle diversità, di cui il corpo è segno e sostanza sensibile, insieme attiva e ricettiva.
La presentazione stessa dei quattro artisti israeliani, Adi Nes, Gil Marco Shani, Rona Yefman e Michal Chelbin, aveva anche lo scopo di elucidare come in un contesto fra i più problematici dell'attuale assetto mondiale ci fossero artisti che,usando il medium fotografico, si fossero disposti su fronte diverso da quelli che denotano il conflitto esistente in quell'area e fonte di una crisi che ormai si è allargata a livello planetario in maniera sempre più catastrofica e senza soluzioni prevedibili a breve e medio termine.
La loro attenzione sul corpo, in chiave erotica, sessuale e attitudinale, sposta lo sguardo su condizioni individuali che prescindono dai motivi ideologici, sociali e religiosi che stanno alla base dei sanguinosi e tragici conflitti che segnano il territorio in cui questi artisti operano, mettendo avanti le istanze dell'uno contro la volontà dei molti. E' chiaro che le condizioni in cui operano filtrano nella loro arte e ne determinano motivi stilistici e formali, ma non assumono mai il carattere dell'indottrinamento ideologico. Rispecchiano una condizione di reattività individuale alle condizioni generali e contestuali piuttosto che farsi latori di posizioni direttamente critiche o propagandistiche specifiche.



D. -Così diventa forse una icona di una esistenza vissuta, superando di poco il valore intrinseco di documentazione?

P.T. -Uno degli effetti della fotografia è indubbiamente il suo carattere di documentazione di “ciò che è stato”, per riprendere la formula barthesiana.Ma questa funzione non è né la sola né esclusiva.
La sua potenzialità rappresentativa ha una forza persuasiva straordinaria e impareggiabile a fronte di ogni altro sistema di rappresentazione di cui la cultura umana si sia dotata nel corso della sua storia. La sua immediatezza di lettura consente quanto in altre forme è di volta in volta, di epoca in epoca, suscettibile di essere ostacolato.
Tuttavia a fronte di questo sta la sua inconsistenza materiale, la sua incorporeità, che ne è il limite e la qualità.



D. -Qual è il tuo punto di vista al riguardo dei nuovi sistemi di rappresentazione e che senso e sensi stanno promovendo le tecnologie attuali?

P.T. -Se ho ben capito il senso di questa domanda, si vorrebbe un combattimento per la definizione e la creazione dell'immagine – parafrasando il titolo di una mostra memorabile curata da Daniela Palazzoli nella prima metà degli Anni Settanta, e il lavoro della Palazzoli è stato fra i più proficui, e non solo in Italia, per la valorizzazione della fotografia in ambito artistico.
Io non credo che ci sia alcun conflitto e vedo con grande simpatia la convivenza di diversi sistemi di rappresentazione, che arricchiscono sia la molteplicità della scena che le possibilità di espressione.



D. -Che altre funzioni attribuire alla fotografia pur di non decretarne la storicizzazione definitiva se per molti la produzione e la fissazione di realtà in un doppio veritiero sembrano poco interessanti?

P.T. -Il doppio fotografico non è mai veritiero, è sempre il risultato di un artificio, tanto più se prodotto da un artista. E' come se dicessimo che la pittura è divenuta obsoleta, o che la scultura oggi non ha più senso, o che il disegno è appannaggio solo di malati e di bambini.
Mi sembra al contrario che la fotografia almeno da oltre trent'anni goda di un'ottima salute e non abbia alcun bisogno di esser messa nella pensione della storia, ovviamente intesa come storia passata.



D. -Si può dire che la fotografia come oggetto d'arte continua ad esistere quando rimuove ogni possibilità nostalgica?

P. T. -La nostalgia è uno dei più tipici e persistenti sentimenti umani. Perché demonizzarla? Entra nell'arte, che è sempre e insieme anticipazione e memoria, e dunque può, secondo me, affettare impunemente anche la fotografia, intesa sempre come mezzo dell'arte, e non astratta in una sua specificità disciplinare, che pur riconosco in certi autori, quelli che chiamerei fotografi-fotografi e delle cui pratiche non sono che un molto modesto conoscitore.



D. -Che opinione hai della net-art e di una arte che si genera dal codice?

P.T. -Nessuna opinione, non avendo la minima idea di quel che sia.

 

 
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