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Una seconda natura? Kinkaleri - Lo spettacolo è una donna/uomo pericolosa/o. L’estate ci lascia stare, ci guarda. Abbiate fiducia in noi. Ci sono minuti di recupero; prima della fine della partita tutto può succedere e della prossima non sappiamo niente. Dispersione delle cose. Fine indefinita, nessun finale vero. La morte necessaria. Una sua luce autonoma. Non lasciamoci soli. Ancora un moto di bellezza che ci possa travolgere, che ci porti via trascinati e la visibilità sia affidata agli sforzi per non finire lontano. La paura di lasciare la presa anche se inevitabile. Un luogo di passaggio. Involucri, elementi che contengono altri elementi. Mettere da parte le cose. Sono gli anni della verità (finiscila con gli assoluti!) questi, inginocchiati e silenziosi. Prima l’immagine poi il movimento, come in un film cinese dove si rubano biciclette. Uno sprofondamento livido nel volume addensato di uno spazio ostinato, un male che ostruisce le circolazioni, una replica che non si occupa di dialettica. E non parla della mia generazione. O forse sì, per farti paura. Non ha niente a che vedere con la biografia di Nero Lucius Domitius Claudius, l’imperatore romano vilipeso dagli storici del tempo. La storia è scritta dai vincitori. Chi perde è destinato a essere oltraggiato. Tutte le interpretazioni che muoiono, evviva! Kinkaleri - Uno spettacolo costruito in due atti separati e indipendenti, frutto di tre studi. Il titolo: “Nerone” è solo l’invocazione al teatro, al gioco dei multipli impossibili tra bambini, e alla improvvisa evocazione di un nome Imperatore che suonava la cetra e faceva l’attore. Un luogo comune per entrambi gli atti: una stanza dalle pareti nere e dal pavimento nero fatto di strati diversi e, sospesi sulla sinistra, in alto, quattro plafoniere al neon. Per la prima volta Kinkaleri dispone di interpreti a concretizzare l’immagine: due uomini e due donne. Nessuna possibilità di pensare ad altro se non all’umanità intera coinvolta nella consapevolezza della morte, della finitezza. Due scritti, monologhi, di Rainer Werner Fassbinder sulla disperazione, il coraggio e l’utopia, sono la risposta, dolcissima e terribile, trovata al desiderio di dialogare con un momento dell’esistenza che affrontiamo: soli. Kinkaleri - Nerone. Abbaiano sulle due facce di un disco un cane alto e una cagna castana. Due parti: uno spettacolo. Forse un’ora e mezza di attesa al tuo posto nel silenzio duro, dentro e fuori, da una soglia all’altra. Nell’età di mezzo immersi nell’inadeguatezza politicosentimentale dell’epoca, di questa come di tutte quelle passate. Voglio dirti: tutta la mia solitudine, tutto il mio coraggio, tutta la mia ansia, tutti i miei conti scoperti, tutta la mia felicità, tutta la mia bellezza, tutto il mio malumore, tutto il mio amore, tutto il mio peso, tutta la mia nudità, tutta la mia speranza, tutto il mio ascendente, tutto della mia miseria, tutto della mia morte, tutto dei miei rivestimenti, tutto dei miei strati, tutto sul basket, tutto sui neon, tutto sulla mia luce, tutto sulle toilette donne, tutto sulle toilette uomini, tutto sul volley, tutto sui miei cani, tutto sul mio silenzio, tutto sulla mia soglia. Un luogo di passaggio. Uno spartiacque delle nostre vite comprese in un involucro. Piani stropicciati che coprono volumi. Mettere da parte le cose. Bisogna essere oggettivi ora. Parlare della morte e del senso insensato delle solitudini. Del tempo biologico e del tempo delle immagini. Tutto passa: te ne rendi conto? Il II° studio per Nerone
Rebus odierno - Dopo
tante domande in tanti anni, domande inevitabili, umanamente
Kinkaleri: dal 1995; raggruppamento di formati e
mezzi in bilico nel tentativo. |
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