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Stefano Coppini incontra Sandro Veronesi
per i "Compleanni del libro"
-Venite Venite B-52. Feltrinelli 1995.




 
S.C. -La prima cosa che vorrei chiedere a Sandro Veronesi è questa - quando gli ho accennato a questa possibilità, questa intenzione di ripresentare dieci anni dopo e di festeggiare il suo romanzo -Venite Venite B-52 mi ha detto:
-Di certo è una bella idea, tornerò a rileggerlo-
Ecco dieci anni fa è stato lo scrittore, adesso probabilmente il lettore del proprio romanzo.
Cosa significa per uno scrittore essere lettore del proprio romanzo?





S,V. -Devo però confessare che non lo ho riletto.
Perchè trovo una strana resistenza (soprattutto a rileggere questo) una strana commozione, devo dire, una cosa proprio fessa e non precisamente motivata... ma poi adesso sto scrivendo e quindi finiva per crearsi un feed--back abbastanza perverso e ho lasciato stare.
In realtà non ho scritto molti libri però devo dire che io non ho mai riletto quello che ho scritto perché ho come l'impressione di essermene sbarazzato quando li ho scritti e pubblicati.
E poi (se non si nota è meglio ) c'è una quantità di dolore trattato, lavorato, una quantità di telefonate terribili che sono passate tra soggetto e predicato, che magari hanno generato una frattura di un mese per poter continuare; che poi con lo stucco si cerca di cancellare (nessuno se ne accorge)
Io però ricordo ogni crepa, ricordo esattamente tutto quello che è successo nel frattempo e credo che non sia un modo sereno di leggere un libro questo...
A me piacerebbe arrivare ad una distanza tale di tempo e ad una dimenticanza tale da poter leggere un romanzo che ho scritto sapendo di quello che si tratta, ma senza questo portato che poi tra l'altro a distanza di anni ( perché poi è l'unico modo che abbiamo per valutare gli avvenimenti in una visione retrospettiva) hanno tutto un altro sapore.
Invece che sul testo il tempo lavora su tutti quei segni che hanno generato il testo, ma che però erano segni-segnati che il mondo ti dava su cose che stavano per accadere, che poi io prendevo come ispirazioni per scrivere.
Alla prova dei fatti questa ingenuità è dolorosa e la ritrovo parola per parola. Anche per questa ragione non lo ho riletto.
Spero di poter rispondere a questa domanda fra dieci o venti anni, quando si saranno cancellate tutte queste orme che ci sono intorno alle parole.
Ma purtroppo per ora ci sono e quindi per ora non è una lettura pulita, è piuttosto una lettura sporca e dolorosa che non serve perché io non saprei dire perché delle venti pagine che ho riletto, non saprei dire molto di più di quello che avrei potuto dire comunque non avendole rilette...
semplicemente perché le ho scritte, e cosa avevo in testa quando scrivevo lo ricordo.




 S.C. -A volte non è una realtà propriamente mal trovata se si parla di un libro come di un figlio e quello che tu dici ora a differenza di quello che solitamente accade, cioè che la felicità del figlio fà dimenticare il dolore (soprattutto alla madre per il parto) quello che tu invece racconti è che hai talmente presente ogni singolo tormento, ogni singolo problema che è nato mentre il libro lo scrivevi che non avresti la serenità di leggerlo con la tranquillità del lettore.
Ecco è interessante questo discorso che facevi sul fatto che ti ricordi di ogni singola pagina, di ogni singola crepa poi stuccata del romanzo, ma secondo Nesi e lo raccontava qualche settimana fa, tu sei uno scrittore del tipo che quando comincia a scrivere il primo capitolo già ha presente tutto il libro, fino all'ultima pagina. Diceva Nesi: -Io no, io sono uno che quando incomincia ancora non sa dove andrà a parare! mentre invece Veronesi è uno che quando incomincia sa ed ha già in mente tutto e deve soltanto stenderlo-
E proprio così?





S.V. -E' così nel senso che ho in mente dove andare a parare. Il problema è che poi non ci vado lì. Diciamo che tre romanzi su quattro ho mancato clamorosamente il punto che per me era fondamentale.
Quando comincio a scrivere c' è evidentemente una impalcatura mentale, però è altrettanto vero che la scrittura, l'atto stesso ha una forza tale che sposta le montagne e quindi il fatto che io proceda senza scalette, senza successive stesure, ma proprio con una specie di lento sempre più lento però passo ineluttabile, che quando si gira pagina non si torna più indietro.
Quella è fatta! e quindi da adesso fare i conti con quello che è successo diventata realtà: la pagina licenziata o il capitolo licenziato...
Licenziato a me stesso!
Perchè nulla vieterebbe di mandarlo all'aria! mando all'aria le frasi, mando all'aria i periodi, anche perché da settimane e settimane, cioè adesso per esempio, sono in un momento in cui faccio un passo avanti e due indietro - come diceva Lenin per le rivoluzioni.
Però alla fine questo passo così marziale nella sua lentezza è giustificato. Se hai uno scopo e finché non lo manchi clamorosamente come succede a me, puoi sempre pensare che vai così marziale perché devi pur arrivare...

Poi succedere che ti accorgi che sei arrivato da un'altra parte, neanche troppo lontano.
Ti accorgi che quella era semplicemente la carota che ti permetteva di andare avanti, oppure arrivare prima, oppure ti accorgi che quello che sembrava essere il punto di arrivo non lo è più; oppure lo manchi. Io ho ancora in mentre l'ultimo capitolo di -Venite Venite B-52. Nella mia ingenuità di "pischello" lo avevo scritto prima.
Mi dicevo -Tanto ci arrivo li-
Avevo una voglia tale di scrivere quel capitolo che poi non c'è stato verso di infilarlo ed è rimasto là.
Ho fatto tutto quel teatro per arrivare lì e poi non ci sono arrivato.
Per cui alla fine brancolo anch'io.
Però è vero che in ogni momento io mi illudo di sapere dove sono e dove sto andando e questo mi aiuta a brancolare con un po' più di fiducia e di forza d'animo.
Altrimenti in un periodo come quello di questi giorni che si vado indietro piuttosto che andare avanti sarebbe piuttosto angoscioso.
Però adesso io so per esperienza che è un passaggio.Come tanti altri passaggi..
Ci sono dei momenti in cui le cose vengono fluide e bene.
E ci sono dei momenti in cui c'è un collo di bottiglia.
Evidentemente sei tu che crei questa strozzatura, evidentemente servirà a qualcosa, a fare molta attenzione alle parole... quindi lo prendo per quello che è. Però mi aiuta molto il fatto di sapere che dopo questo ci sarà quello e poi soprattutto ci sarà quell' altra cosa che aspetto di scrivere da tanto tempo e che poi diventa spesso una chimera.
Ho già dato con il primo romanzo tutto il dispiacere possibile per mancare quella destinazione.
Adesso me lo aspetto! non mi da più dolore.




S.C. -Sarebbe interessante fare una lettura comparata dei due romanzi; del terzo e del quarto intendo, e vedere che tra i due romanzi così diversi - Venite Venite B-52- e - La forza del passato- c'è una diversa sonorità, c' è un diverso tempo musicale, il secondo piuttosto in forma di sonata sembra una sorta di quartetto, con meno strumenti di -Venite Venite B-52 che ha un orchestra a disposizione, oltre il fatto che è una storia molto più ampia e con tanti più personaggi.
Ci sono anche altre cose che effettivamente filtrano da romanzo romanzo.
Una di queste è talmente curiosa perché non succede mai a nessun scrittore ed è questo; che tu affidi l'exergo di entrambi i romanzi ad un pensiero di Beckett.
Il lettore apre e trova questo pensiero di Beckett
-Non posso continuare.Continuerò-
Nel romanzo successivo -La forza del passato- lo stesso pensiero di Beckett -Non posso continuare.Continuerò-
Perché questo pensiero ossessivo?





S.V. -A parte che d'ora in poi lo troverete sempre....ho deciso che non starò più a perdermi d'animo a cercare gli exergo.Quindi anche nel prossimo, come in tutti gli altri romanzi questa -è deciso- sarà la citazione iniziale.
Una frase bella e penetrante di per sé tende a rimanere o a non farsi cancellare da una successiva.
Una frase penetrante e bella di Beckett secondo rimane scolpita. E' talmente profonda sul senso stesso dello scrivere e su quello che dicevo prima... adesso la mattina, quando non posso mettermi a lavorare penso
-Non posso continuare.Continuerò-
Diventata una specie di motto dell' esistenza. Non più solo riferito alla vicenda o per sommi capi allo stato d'animo che può emergere dalla lettura del libro, piuttosto diventa una specie di motto dell'esistenza.
E trattandosi di Beckett, uno scrittore che secondo me non può essere letto come gli altri, bisogna scolpirselo addosso, perché altrimenti si rischia di perdere il pregio scultoreo, materico della scrittura di Beckett.
Un frammento così a me sembra un frammento eterno.
Non lo riuscirò mai a comprendere un romanzo che non venga ampiamente riassunto da queste quattro parole.
Quindi se io avessi scritto più romanzi e non solo due in dieci anni ve ne sareste già accorti.
Questo exergo lo avevo messo anche nel libro della Disney che avevo fatto per i ragazzi...Beckett insieme a topolino... Non fu accettato.
Ma io lo avevo messo anche li!




S.C. -C'è pure un altro filo ed è una sorta di amore e di attenzione soprattutto intorno a quella che è stata la riflessione su Pasolini..
Con Pasolini che regala il titolo al tuo ultimo romanzo -La forza del passato-
Il titolo nasce da una poesia di Pasolini che poi come tu racconti è una delle poche poesie che hai imparato a memoria e da grande.
Ed è in un capitolo, in uno snodo importante del romanzo che Pasolini compare anche in -Venite Venite B-52- in un punto cruciale sebbene poi con mano leggera compaia quando, alla fine degli anni sessanta il personaggio anziano -Caligari- che pure non era un intellettuale capisce che il vento sta cambiando, che non ci sarà più spazio per persone come lui che volevano trovare da soli la propria bussola nella vita.
E lì lo scrittore interviene e dice -lui non aveva letto Pasolini perchè se avesse letto Pasolini a questo disagio avrebbe saputo dargli un nome-
Ecco io torno su questo punto perché credo che sia un punto che sta a cuore anche a te. -Che trent'anni fa- diceva Pasolini e tu lo ribadisci -che 30 anni fa si sarebbe consumata una frattura grande nella vita degli italiani- che si sarebbe passati da una stagione lunghissima che era tutto il tempo che c'era prima, quando il passato contava e quando le cose si trasmettevano da padre a figlio, a ciò che accade negli ultimi trent'anni, quando questo passato si azzera e restiamo in un presente che Pasolini chiama il -dopo storia-
Vuoi precisare meglio questo pensiero?




S.V.  -Innanzitutto io parlo del riverbero che Pasolini, e soprattutto questo tipo di intuizioni di Pasolini hanno avuto nei miei romanzi. ( ma non sono quì per fare una conferenza su Pasolini) Innanzitutto bisognerà considerare questo: prima di questi due romanzi c'è stato -Gli sfiorati-
Gli sfiorati è un romanzo Pasoliniano che parte dalla fine, che parte dai ragazzi di vita degli anni '80, cioè questa gente orizzontale senza storia, con questo crepaccio di cui non sanno nemmeno che esiste e che li separa totalmente dalla loro tradizione, dalla loro storia e li lascia galleggiare in quella che il protagonista del romanzo con gli strumenti arcaici della grafologia, grafologia arcaica perchè ora la grafologia è omologata e si fa al computer, ma prima si faceva a mano con il gonionometro, lui battezza con un neologismo: "schiumevolezza" - perchè non sa come chiamarla, perchè non è una caratteristica riconducibile alla tradizione.

Io sono partito da lì. Il mio primo romanzo di restituzione, di rilascio della materia Pasoliniana è stato gli Sfiorati e dunque la fine.
E poi senza che ci sia un disegno, ovviamente non sono un pazzo che scrive romanzi per parlare di Pasolini...
è seguito Venite Venite B-52, dove Pasolini è citato in questo modo un pò scherzoso da parte del narratore.
Poi ancora la Forza del passato dove Pasolini non solo è citato, ma viene brandito per difendersi dalla storia, e finisce per dare addirittura il titolo al romanzo.
Da dove viene questo è curioso.

Pasolini - io ero piccolo, è morto che io avevo 16 anni.
Devo anzi direi che il mio interesse per Pasolini è nato con la sua morte,
con quella morte li e con quel accanimento.
Io poi cominciai a indirizzare i miei pensieri su Pasolini - anche lì a ritroso, rileggevo gli scritti più recenti, gli scritti Corsari, Le lettere luterane e via via.
Poi il caso ha voluto che quando mi trasferii a Roma, in quello che è stato un anno di puro parassitismo...fui molto fortunato ad incontrare una specie di mecenate, una persona che ricordo sempre con grande rettitudine e che non potrò mai ripagare per quello che ha fatto per me: Vincenzo Cerami.
Vincenzo più che incoraggiamenti di tipo letterario mi dette una casa

Mi disse -Guarda ho uno studio, io non ci vado mai. Stacci quanto vuoi-
E non era solo uno studio.Prima di tutto era un appartamento vero.
Ma la cosa che non potevo credere è che essendo la sua moglie la cugina di primogrado di Pierpaolo Pasolini e nonché erede delle cose, quanto dei diritti  -Graziella Grancossi-
quella casa era piena delle cose di Pasolini. La sua biblioteca, i suoi libri, i suoi dischi, il suo lettuccio.Pareva di dormire e di vivere nelle sue poesie.

C'erano i racconti di Canterbury chiosati e tutti i manoscritti che aveva ricevuto da Contini e da Gadda, per avere un consiglio.
Tutto lì e tutto tenuto come un museo privato, per cui la notte quando tornavo stavo lì, ma per studiare!
Proprio mi ci immergevo, era una full immersion vera!
Con il fatto di abitarci e non di visitarlo...
Io sono stato sei mesi ad andare tutte le mattine alla casa di Victor Hugo per la mia tesi. Andavo la mattina e tornavo la sera.Certo è un'osmosi pure quella, poi però andavo in rue de Maroc a dormire.
Lì era invece quando tornavo che mi ci immergevo!
Mi sentivo in osmosi con questo autore che nel frattempo - da quando avevo 16 anni che morì a quando ne avevo 26 che ero andato a Roma - era diventato importante, soprattutto come poeta e soprattutto per aver scelto la poesia come veicolo;
perchè la poesia ha le pinne cioè va più forte.
Soprattutto nei ragazzi più giovani come ero io, penetra meglio; poi dopo da lì ti aggrappi e ti ritrovi a leggere cose più impegnative come Passione e ideologia...
Evidentemente però quella è stata una esperienza di vitale imbimimento Pasoliniano.
Non ragionato, ma nemmeno sdragionato perchè comunque io sono l'unico che ha avuto a disposizione per nove mesi il museo di Pasolini - che ancora non esiste, bello e tenuto bene da Graziella.

Tra l'altro mi capitò una cosa assai strana tra le tante:
nei pochi lavoretti che ho fatto quell'anno perché come dicevo ho vissuto da parassita vero, traducevo dal francese e dall'inglese quando capitava.
Mi dettero da tradurre un racconto per -Nuovi argomenti- di un autore francese che si chiama ( ) che poi ho anche conosciuto, ma che all'epoca non conoscevo, e che parlava di questo giovane scrittore francese omosessuale che si arma di coraggio e un giorno porta il suo primo manoscritto al grande autore italiano; non viene menzionato, ma la descrizione della cugina, con i riccioli che gli apre la porta...
era proprio Graziella, la mia padrona di casa.
E la storia di questo è che lui da questo racconto a Pasolini; poi riesce
anche a sentirlo per telefono e Pasolini gli dice che - gli era piaciuto- fissano per vedersi ma Pasolini viene ucciso...
E nella morte di Pasolini c'era anche la perdita di questa unica copia del suo manoscritto.
Io finisco di tradurre questo racconto, poi vado a cercarlo e a trovarlo senza neppure fare fatica.
Apro la scansia dove c'erano i manoscritti..
(era ancora lì)


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