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ANDREA LISSONI - Il titolo su cui riflettere è la relazione tra autore e collettivo. Con un sottotitolo più preciso, una riflessione sull'autore attraverso il fare di Kinkaleri raggruppamento di formati e mezzi in bilico nel tentativo. Una ricognizione teorica sull'artista collettivo. Ho incontrato il lavoro di Kinkaleri 10 anni fa. Avendo un background legato alle arti visive mi ha molto incuriosito, intrigato, piaciuto non avendo direttamente a che fare con ciò di cui mi sono sempre occupato, la loro maniera di affrontare la scena, in quanto mi sembrava che parlasse molto più esplicitamente e testimoniasse più profondamente il reale che mi circondava molto di più di ciò di cui mi occupavo direttamente. Dietro c'era una voce ventriloqua di un raggruppamento che aveva una pratica per quanto all'interno di una disciplina, alquanto indisciplinata e per questo mi interessava. un po' come io mi stavo muovendo all'interno delle mie aree di studio, interesse, lavoro. Forzandone i limiti e guardando più lontano. Dialettica tra autore e autore collettivo, crisi della figura dell'Autore
e agire collettivo, Se noi andiamo ad esplorare in questi modi di agire
collettivi scopriamo che di solito abbiamo a che fare con un background
che si relaziona con una figura, un formatore, qualcuno che fa scattare
qualcosa. Ciò che ci interessa è che sia a livello curatoriale,
intermedio misto, autoriale - emerge è un discorso biografico,
di necessità, autenticità, di relazione tra persone; è come
se ci fosse un nodo da sciogliere, che credo Kinkaleri sciolgano ottimamente,
tra l’essere singoli e l’essere collettivi, l’instaurare
un rapporto preciso fra un oggetto, un opera che si produce e la sua
origine, e il processo attraverso cui questo oggetto si è generato.
Questo oggetto è l’unire anche il processo che disegna
un collettivo, è fondato su delle ragioni eminentemente casuali,
su degli incontri, delle occasioni. Kinkaleri propone un rapporto totalmente di
fragilità da questo
punto di vista, non ha nessun sostegno morale, ideologico, decide di
sviluppare la propria dinamica soggettiva di sei persone che alla fine
creano un settimo, ed è quello che concretamente mostra le cose,
non so quanto ci sia di interessante in tutto questo, è qualcosa
che non si propone come soluzione o validità, è stato
un meccanismo che in un percorso ha trovato, all’interno di una
situazione, una serie di piccole specificità, ma non tecniche,
piuttosto di sguardo, una serie di punti di vista che nel momento in
cui riescono a connettersi, ad effettuare un montaggio nelle varie
durate, si propongono poi come intero. Kinkaleri introduce e destabilizza, introduce una voce diversa anche
nel sistema dell’arte, perché senza dover rivendicare
un’identità specifica, di appartenenza geografica, rivendica
un’autorialità, un modo di fare, di procedere, è un
modo che principalmente interroga la scena e i suoi limiti e che problematizza,
attraverso il farlo, alcune questioni centrali del contemporaneo che
non sono naturalmente solo la scena e i suoi limiti ma anche come si
vive oggi, che ci succede intorno… Non è una posizione radicale la mia, è debolissima,
però ho l’impressione che ci sia una tendenza a adeguarsi
su degli stereotipi teorici da parte della generazione di giovani artisti,
ovviamente ormai vuoti e inumanizzati, non maneggiabili, e a dimenticare
le cose più banali, tipo dove sono nato, perché ho incontrato
i miei amici e perché lavoro insieme a loro sul quotidiano. |
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