Emanuela
De Cecco - Non sono ancora arrivata al pensiero operativo di rispettare
le buone pratiche.
Nel senso che dove ho lavorato, per una Fondazione di arte contemporanea
per poco più di tre anni (da un anno prima che lo spazio aprisse
) non a caso il mio ruolo era di mediare sia rispetto al percorso delle
mostre, attraverso incontri soprattutto, quello che era un assunto messo
in atto dalla gestione - e sia svolgere una funzione dopo aver formato
un gruppo di persone che ancora oggi lavorano sugli spazi espositivi.
Il che vuol dire stimolare un dialogo con il pubblico a partire da un
confronto con il lavoro in una dimensione che riscatta l'aspirazione
della visita guidata, e quindi sposta la pratica della relazione su di
un piano di pianta e non su di un piano di illustrazione dei contenuti.
Pubblico - E' evidente che non è solo il curatore o il responsabile
del museo che deve creare il terreno perchè possano svilupparsi
le buone pratiche, e se voi avete parlato di politica è evidente
che la Politica ha le sue responsabilità, come la Formazione ha
le sue responsabilità, dove la formazione di base e superiore per
l'arte contemporanea è completamente ignorata.
Come si integra questa lacuna? forse non c'è soluzione, non c'è speranza...
Emanuela De Cecco - Io credo che sia importante una coscienza al riguardo.
E a questa si dovrebbe accompagnare una riflessione che tiene conto della
pratica curatoriale e di tutto questo che c'è a monte. Una riflessione
necessaria è per esempio sulla scomparsa della figura dell'intellettuale.
Una figura chiave negli anni scorsi, che grazie alla loro autorevolezza,
acquisita in ambiti specifici, sono intervenuti in momenti chiave ad offrire
delle visioni all'interno dello svolgimento della vita culturale.
Sicuramente oggi è importante essere coscienti del contesto in cui
andiamo a lavorare, e così forse evitare sforzi titanici, per così esprimere
una coscienza, passo per passo.
Pubblico - Ma secondo voi è così fondamentale fare musei
a tutti i costi?
Lorenzo Fusi - No!
Settis - Io credo che la soluzione sta nelle parole, che quando si
parla di Museo si parla di Istituzione.
Il curatore sta dentro l' Istituzione
e come tale ha degli doveri. (Io lavoro al Pitti)
Le recenti leggi in materia obbligano le istituzioni ed i musei a produrre...
E questo ha costretto i musei a metamorfosi storiche ed estetiche che
stiamo tuttora vivendo.
Il curatore in questo momento è una cerniera molto importante,
e come certificato della sua funzione spregiudicatamente deve avere
una doppia faccia, una rivolta ai progetti eccellenti, ed una altra
alle necessità che sono un dato di fatto. Io credo che nessuno
che vive nelle istituzioni museali è libero di esprimere la
propria qualità propositiva perchè ha a che fare con
un panorama molto ampio di richieste.
In ogni caso si deve parlare della identità del museo, e finchè è una
istituzione noi siamo obbligati a delle regole.
E' chiaro che all'interno dobbiamo essere il migliore dei mondi possibili e fare
vibrare un sistema, delle corde dentro un sistema complesso, ma sorridendo, genericamente
condiscendenti, ma per lavorare sul piano della qualità.
La coscienza di vivere in una istituzione e di essere curatori di una istituzione
ci faccia agire nella coscienza di quella istituzione!... ma dentro dobbiamo
lavorare per dare qualità e c'è da chiedersi sempre come fare.
Lorenzo Fusi - Devo subito precisare che
ne io né Emanuela De Cecco siamo curatori di musei e non lavoriamo
su di una collezione permanente.
La collezione permanente che via via si forma crea un patrimonio comune
che poi va rielaborato e riproposto al pubblico possibilmente con punti
di vista e prospettive diverse.
Questo tipo di struttura forse non ha bisogno di un continuo gettito e di nuovi
apporti perchè il patrimonio è consolidato ed acquisito dal territorio.
Il territorio si fa carico di preservarlo e di riproporlo in maniera di volta
in volta secondo quello che è il passaggio socio-politico o intellettuale.
Nella nostra pratica ci occupiamo di creare eventi che dovrebbero illuminare
e dare dei tagli di luce sulla contemporaneità. Non costruendo una collezione
permanente non siamo obbligati a scegliere il meglio dell'oggi - qui-ora, in
Europa o nel mondo. Siamo più chiamati a domandarci in primo luogo cosa
sta accadendo, come l'arte sta reagendo a quello che sta succedendo, e cercare
di proporre insieme agli artisti, sempre un istante prima, questi eventi al pubblico.
In questo c'è una missione abbastanza diversa rispetto al Museo
Moderno o alla Collezione.
Pubblico - Essere contemporanei è necessario! ...
Valentina Gensini - Dobbiamo prendere
coscienza che l'arte in generale non paga né si auto-alimenta,
e questo gli Americani lo hanno capito. Per questo hanno fondazioni grandiose
alle spalle dei Musei - perchè questi Musei nonostante i numeri
fortissimi di visitatori, è certo che non ripagano per intero
le attività né l'ampliamento della collezione.
Sia la politica che le istituzioni Italiane dovrebbero riconoscere
questo.
Le valutazioni sul museo sono altre!
Il lavoro del curatore, e del presentatore dell'arte credo sia sostenere
questo, come dice Settis: non rimaniamo sul piano economico - l' Arte
deve rendere deve produrre - ma ricordiamoci che è l'indotto
che l'arte produce! dimenticando così di chiedere all' Arte
di produrre un valore economico che non può realizzare, piuttosto
un essere consapevoli del valore profondo ma intellettuale di Rinascimento
che porta alla società, non chiedendo una legittimità immediata
altrimenti il dibattito rischia di spegnersi.
Emanuela De Cecco - Aggiungerei due esempi
e altri punti di vista sulle risorse economiche.
Per esempio a Berlino, Alexanderplatz - la Chrysler Collection - miliardi
di valore: siamo in un ambito per cui l'arte è come l'equivalente
di un titolo in borsa, e non solo dunque un investimento in un futuro
possibile ammesso che si verifichi. C'è una pratica dell'arte
contemporanea che rientra in questa etichetta ma che ha una valenza
di segno molto diverso da quello che si può pensare rimanendo
a studiare sui libri dell’arte degli anni 70
(avanguardia, pratica intellettuale, rivoluzione dei linguaggi ).
Di fatto convive sotto questo ombrello anche un discorso che è molto
più vicino a quello della finanza.
Il punto è che l'etichetta è la stessa e questo provoca un altro
terremoto che costringe ad una ulteriore riduzione – per cui la storia
del curatore è di fatto ulteriormente inesistente; ma quello che cambia è che
se la Chrysler detta le leggi di una collezione, quello che viene messo in campo è una
forma d’arte assolutamente arrotondata su nomi eccellenti, per intervenire
in un luogo così simbolicamente connotato come Alexanderplatz.
Sono per lo più artisti addomesticati, artisti scelti rispetto ad una
attitudine - ma anche all'interno delle singole pratiche viene individuato il
momento meno conflittuale di significato!
Se andata sul sito della Chrysler Berlino troverete tutte quelle parole in uso
nei contesti della avanguardia, sottratte e portate in un contesto altro, per
assumere una valenza completamente opposta.
Forse una buona pratica è quella di riflettere sul senso delle parole
nei contesti in cui vengono usati
– L’arte è vita – usata in questo contesto e da una
corporation come la Chrysler può fare davvero paura.
Un altro esperimento ancora –e non stiamo parlando solo di Musei
perché la pratica contemporanea è sfaccettata ed attiva
su diversi fronti (a volte continuativi, altre estemporanee ) ma questo è un
altro caso di una operazione che è in corso – con doppia
sede a Milano e Berlino – ed è un invito tramite un bando
di concorso -Diesel Wall- aperto a chiunque per realizzare un opera di
arte pubblica “su di un muro”
Il primo punto su cui riflettere è questo invito alla libertà:
- Io posso intervenire su questo spazio appartenente alla città o a ciò che
si intende per dimensione pubblica – ma se è - Diesel - che lo dice,
che tipo di spazio pubblico è?! Questa è una libertà che
spiazza, perché non credo che sia la libertà in assoluto del graffitista
che di notte lascia una firma o un simbolo di nascosto, questo è un invito
a praticare una sorta di libertà ma con un marchio.
Il marchio non è il diavolo, ma cerchiamo di esserne consapevoli!
L’invito è tener conto dei contesti in cui si va ad agire. Quindi
il lavoro che contrabbanda l'acquisita libertà e non tiene conto della
cornice in questo senso mi sembra che porti avanti un equivoco.
Un’ altra riflessione da fare su questo concorso una volta letto
il bando, è che l’aspetto che più viene sottolineato
è una esortazione agli artisti delle ultime generazioni finalmente a fare
a meno delle istituzioni, un paradosso certo a conferma in realtà di questa
oscillazione – per cui da una parte c’è un populismo tale
con discredito delle istituzioni…
Lorenzo Fusi - Curioso questo fatto, che molte Fondazioni poi vogliono
avere un aspetto istituzionale (Trussardi piuttosto che Prada)...quasi
una idiosincrasia.
Emanuela De Cecco - Leggo dal bando: -Quale irresistibile
opportunità di
uscire dall'ombra e illuminare una grande metropoli con un ideale utopico!
oppure realizzare molto semplicemente qualcosa di gradevole...-
Emanuela De Cecco è nata a Roma nel 1965, vive a Milano. Insegna
Cultura Visuale all'Università di Ferrara
ed è responsabile
dei progetti di formazione della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo.
E' autore di "Contemporanee. Percorsi e poetiche delle artiste
dagli anni Ottanta a oggi" (postmedia books 2002).
Lorenzo Fusi è storico dell’Arte, laureato presso l’Università degli
studi di Siena.
Dal 2002 è il curatore del Palazzo delle Papesse,
Centro Arte Contemporanea Siena. Attualmente
la sua ricerca è orientata
verso l’arte
in video e in pellicola e al suo dialogo con l’uso delle nuove
tecnologie.
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