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Plays a type - Not narrative fragments - Indefinable settings. Cindy Sherman
in una serie di autoritratti ‘ Untitled Film Still ‘ nelle apparenze di archetypal woman…
Una occasione per parlare di vissuti e ‘ controtransfert ’.

Conversazione con G.Graziani per 'Arte e Psicologia
'

Comincero col dire che in medicina con il termine fotofobia si intende un fastidio alla luce.
Vi confessero ora che io soffro di una forma di fotofobia, ma d’ altro genere.
Cioè quella di non amare le fotografie - le mie in particolare.
Non faccio fotografie, non ho fotografie che mi ritraggono.
Ma nonostante questo ho scelto di parlare di questa fotografa che per di più fotografa se stessa.
Cioè io ho operato un comportamento opposto a quello che è la mia inquietitudine, come per esorcizzarla
Credo che sia rispetto a questo tipo di turbamento che mi sono difeso mettendo in atto una ‘ formazione reattiva ‘ che mi ha spinto, negando e non vedendo il mio timore originario, tra le braccia delle foto di Cindy Sherman.
In parole semplici i suoi scatti avrebbero fatto vacillare un poco il senso di continuità che ho di me stesso come se mi fossi trovato di fronte a qualche cosa che mi rimanda al turbamento indotto dalle mie fotografie quando avverto in esse le mie impressioni multiple.

Il senso di noi stessi in psicoanalisi viene denominato 'sé’ ed il sé nella cultura occidentale può essere definito con quello che è il più comune significato vale a dire la rappresentazione della natura più profonda e privata della persona.
Il linguaggio di tutti i giorni è imbevuto dei richiami al sé. Spesso diamo affermazioni del tipo ‘parlare di sé ’ - ‘dentro di sé ‘ - ‘chiuso in sé ‘ - ‘non essere in sé ‘ – ‘ lei oggi non sembra se stessa ‘
Legandosi prevalentemente ad una metafora spaziale la maggior parte di noi intende il ‘sé’ come una entità coesa e racchiusa nei confini dell'individuo.
Il nostro linguaggio comune reifica il sé come un ente dotato di confini temporali, di confini condivisi con gli altri sé che lo separano dal suo contesto culturale e sociale.
E' contro questa mitica e per molti di noi rassicurante visione di sé che l'opera di Cindy Sherman sembra gettare quei dubbi inquietanti che mi hanno indotto ad una ‘ formazione reattiva ’

Le 69 pose delle -Untitle film still - rappresentano una giovane donna - l'autrice - non solo diversa rispetto al suo aspetto abituale, ma in travestimenti differenti uno dall'altro.
La casalinga, l'impiegata ed altre mimesi che si ripeteranno in altre serie fotografiche.
L'uso del travestimento sembra ricorrere ossessivamente, e trasformando la fotografia in mezzo di autoespressione Cindy Sherman pare volerci parlare dei molti aspetti della propria e della nostra identità.
Suffragate da fonti neuropsicologiche l'enfasi del pensiero post-moderno sulla discontinuità, sulla molteplicità dell'esperienza di sé e sulla esaltazione delle identità in transito è invalsa in gran parte delle sue foto ove la transitorieta della esperienza arriva quasi a disgregare il senso di se stessi ed il rapporto con la realtà.

Per la verità questi concetti post-moderni sulla discontinuità della esperienza in ‘ sé ‘ furono anticipati molti anni fa da alcuni analisti anglo-americani.
Analisti che cominciarono a pensare all' Es in modo diverso rispetto a Freud.
Essi cominciarono a pensare al rimosso non in termini di frammenti impulsivi disorganizzati, ma in termini di costellazioni di significati organizzati intorno alle azioni.
Incominciarono a percepire l' Es come un insieme di persone impegnate in rapporti appassionati nei confronti di altre persone.
Noi -secondo questa prospettiva- interiorizzamo le relazioni significativa con gli altri, relazioni che diventano così nel nostro mondo interno, nuclei di significato attraverso cui alternativamente entriamo in rapporto con il mondo.
Il risultato finale è una organizzazione plurale e molteplici di ‘ sé ‘.
Dentro di noi quindi si animerebbero una folla di personaggi che chiedono di essere rappresentati e l'unica cosa che ci distinguerebbe dalle personalità multiple è il fatto che in esse non vi è alcun senso di continuità da una versione di ‘ sé ‘ ad una altra, mentre in noi sussiste una certa fluidità-continuità nelle transizioni da una organizzazione di esperienza ad una altra organizzazione
Letta sotto questa ottica le metamorfosi di personaggi che Cindy Sherman incarna possono rappresentare uno stimolo a quei vissuti, interni a noi stessi , che sospingono inquietantemente verso le vertigini della non-identità.
Fantasie di perdita di 'continuo' e di discontinuità che inconsciamente tutti noi avvertiamo e che ci consentono proprio per questo di vedere nei personaggi, quelli inventati dalla Sherman qualcuno che già conosciamo, qualcosa di familiare.

E’ questo qualcosa di familiare che fa da contrappunto al caos e alla confusione che ci rimanderebbe sia pure nelle fotografie a realtà totalmente difformi.
Cosa rende allora la pura discontinuità dei personaggi di Cindy Sherman qualcosa di armonico e esteticamente gradevole?
E' vero che malgrado il fatto della discontinuità vi si riconosce in esse una invarianza, un dubbio classico di instabilità un poco come quando se una mattina mi dico ' oggi non sono me stesso ' io esprimo la mia esperienza di sentirmi diverso dagli altri giorni.
Però malgrado questa discontinuità, non penso a Kafka, non considero neppure per un momento la possibilità di essermi risvegliato come qualcun altro.
Su cosa appoggia questa esperienza di integrità e continuità che costantemente ci accompagna a dispetto della discontinuità dei personaggi che incarniamo e che rende le serie fotografiche di Cindy Sherman veramente delle opere armoniche.
Il corpo - il corpo innanzitutto.
Freud asseriva che Dio trae origine dall'io corporeo.

In effetti a parte il fatto che il nostro corpo cambia molto lentamente, ci consente di percepire in esso un repere di continuità che smorza le discontinuità della nostra esperienza.
In ugual misura gli scatti della Sherman ritraggono un volto invariante nella stessa serie (un volto identico con il passare degli anni) così questo immutabile sottofondo corporeo al di là di quelli che sono i suoi travestimenti ci fa dire
-la riconosco è lei-
soddisfacendo il nostro bisogno psicologico di continuità.
Vi è poi un altro elemento di continuità nelle foto di Cindy Sherman, elemento però che ci fa pensare alla sua proposta artistica come a qualcosa di non universale, ma recepibile solo dagli appartenenti alla cultura occidentale

Cindy Sherman gioca infatti con le azioni sociali, con gli stereotipi dei miti americani ed occidentali, i linguaggi delle comunicazioni di massa, con le immagini pop.
Impariamo nel suo discorso il mondo, il nostro mondo e non quello di un birmano o nepalese.
E ciò è per noi e solo per noi un grosso elemento di continuità.

Per concludere tornando al disagio davanti alle mie foto, riprendendo il discorso sulle versioni multiple di sé si può dire che Cindy Sherman ci ha fatto vivere con le sue trasformazioni come sia illusoria la nostra sensazione di continuità, ma nel contempo ci ha fatto avvertire una costanza che esiste solo nei nostri ancoraggi: il corpo, la civiltà.
Tuttavia anche se il concetto di ‘ sé ‘ come entità costante e coesa è una fantasia, una chimera, è una fantasia che gioca un ruolo centrale nella organizzazione della nostra esperienza, rendendoci per esempio familiari e fruibili gli istanti di Cindy Sherman.